Italia da bere

Oh tu, invisibile spirito del vino,
se proprio non hai alcun nome con cui ti si possa chiamare,
lascia pur che ti si chiami col nome del demonio!

William Shakespeare (1564 – 1623)

Vino-italiano-300x202

 

Parlare dell’Italia e dei suoi vini significa intraprendere un viaggio ricco di storia, di cultura, di tradizioni millenarie e di una molteplicità di uve da far invidia a tutto il mondo. Nel Bel Paese, la vite è coltivata ovunque: non deve meravigliare, dunque, il fatto che essa cresca in ogni regione e che ognuna di queste possieda varietà di uve autoctone, spesso dimenticate o sottovalutate, e produca vino da tempo immemorabile.

Questa sconfinata distesa di tralci, pampini e grappoli, rievoca il nome con cui gli antichi chiamavano l’Italia: “Enotria Tellus”, ovvero “paese delle viti sostenute da pali”. Da ciò emerge come la vite ed il vino rappresentassero realtà consolidate nella nostra penisola sin dai tempi della colonizzazione greca.

Sin dall’antichità, quindi, ogni attività agricola svolta in Italia si basa sulla produzione del vino. Per molti secoli considerato come una risorsa indispensabile alla sopravvivenza delle persone, si è stato presentato con i tratti di un alimento vero e proprio; in questo contesto, per così dire, più vino si produceva e meglio era. Eccezion fatta per alcuni tentativi, attuati in diverse zone d’Italia e finalizzati a stabilire norme di produzione di qualità, l’industria vinicola nazionale si è storicamente sviluppata senza specifici vincoli legislativi, favorendo di fatto la quantità a scapito della qualità. Questa peculiarità ha determinato il declino del vino italiano a livello internazionale, favorendo invece i prodotti di quei Paesi europei ai quali va riconosciuto il merito di aver compreso sin da subito l’importanza commerciale di una strategia produttiva incentrata sulla qualità.

Fu solo nella seconda metà dell’Ottocento, dunque, che la volontà di accrescere e promuovere la qualità del vino italiano iniziò a farsi strada con la necessaria consapevolezza. In quello stesso periodo, il progressivo rinnovamento dell’enologia italiana fece sì che il valore della qualità del vino riuscisse nella non facile impresa di (ri)affermarsi sulla scena mondiale e di accreditare l’Italia come grande produttore vinicolo a livello europeo e mondiale. Ed è proprio grazie a questa capacità di rinnovamento che il vino italiano ha riconquistato i favori dei consumatori, facendosi largo nell’oramai complesso scenario del mercato enologico mondiale.

A ben vedere, sono più 300 le specie di uve presenti sul territorio italiano, segno della particolare generosità di Madre Natura verso una terra considerata – a buon diritto – la patria del vino. L’appeal delle uve cosiddette “internazionali” e dei vini prodotti con queste ultime, tuttavia, rischia di far passare in secondo piano quei vini a base di uve locali, che sono spesso considerati “minori” pur risultando piacevoli e meritevoli di interesse.

La riscoperta e la valorizzazione delle uve autoctone, dunque, dovrebbero essere opportunamente “sponsorizzate”: in particola modo, non ci si può non augurare che i produttori riconsiderino e mettano a frutto le enormi ricchezze ampelografiche delle loro terre.

Negli ultimi vent’anni, inoltre, l’enologia italiana è stata protagonista di una autentica rivoluzione, passando da una produzione caratterizzata da forti quantità ad una produzione di qualità. Un processo, quest’ultimo, che il netto cambiamento del consumo di vino e la crescente competizione tra l’Italia e gli altri Paesi sembrano aver palesemente favorito.

Al giorno d’oggi, l’Italia avverte più che mai l’esigenza di raccontare i propri prodotti ed eccellenze. Il nostro Paese ha subito per anni la supremazia di realtà, come quella francese, caratterizzate sì da un’antica e consolidata tradizione alimentare, ma anche da grandi affabulatori e narratori di storie. È senz’altro questa la chiave di volta per una terra così ricca come l’Italia.

Commenti